iPhone made in USA: perché la produzione è ancora in Cina

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L’idea di un iPhone made in USA, spesso sostenuta da politici come Donald Trump, si scontra con una realtà economica e logistica complessa. Nonostante le pressioni della Casa Bianca, Apple continua a produrre la maggior parte dei suoi dispositivi in Cina e India. Ecco perché.

Primo, i costi di produzione negli Stati Uniti sarebbero proibitivi. Secondo un report di Bank of America (2024), assemblare un iPhone negli USA aumenterebbe il prezzo del 20-30%. La manodopera statunitense costa infatti 5-6 volte più di quella cinese, dove gli operai specializzati sono abbondanti e meno costosi.

Secondo, la supply chain globale è un altro ostacolo. Oltre il 90% dei componenti degli iPhone viene prodotto in Asia, secondo dati di Counterpoint Research. Spostare questa catena negli USA richiederebbe anni e investimenti miliardari, con rischi elevati per Apple.

Terzo, la flessibilità produttiva asiatica è insostituibile. In Cina, Foxconn può assumere migliaia di operai in poche ore per soddisfare picchi di domanda. Negli USA, regole sindacali e tempi più lunghi renderebbero impossibile replicare questo modello.

Un altro fattore è la competizione globale. Samsung e altri rivali producono in Asia, mantenendo costi bassi. Se Apple alzasse i prezzi, perderebbe quote di mercato. Nel 2024, iPhone ha già il 58% del mercato premium (IDC), ma margini più stretti potrebbero minacciare questa leadership.

C’è poi il tema ambientale. La produzione USA richiederebbe più trasporti per importare componenti, aumentando l’impronta di carbonio. Apple punta alla carbon neutrality entro 2030, e spostare la produzione complicherebbe questo obiettivo.

In sintesi, il sogno politico di un iPhone made in USA si scontra con logiche di mercato inattaccabili. Apple continuerà a ottimizzare costi e supply chain in Asia, dove trova efficienza e scalabilità impossibili da replicare altrove.

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